La scelta del Governo è alla fine ricaduta sull’app Immuni, ideata dalla software house Bending Spoons e dalla rete di poliambulatori Centro Medico Santagostino. È questo lo strumento che, attraverso il contact tracing, ovvero il tracciamento dei contatti tra i dispositivi mobili dei cittadini, dovrebbe aiutare le autorità sanitarie a monitorare e contrastare la diffusione del Covid-19.

La selezione è stata necessariamente molto rapida: il 23 marzo è stata indetta una fast call for contribution della durata di soli 3 giorni, diretta a individuare soluzioni digitali per il monitoraggio attivo del rischio di contagio. È stato quindi nominato un gruppo di lavoro con il compito di procedere in tempi rapidi alla valutazione delle proposte ricevute e con ordinanza del 16 aprile il Commissario straordinario Arcuri ha confermato la scelta del software Immuni.

Quello del tracciamento dei contatti è una misura che altri paesi hanno già adottato nella lotta al Covid-19 per analizzare l’andamento epidemiologico e che consiste nell’analisi dell’interazione tra il dispositivo mobile di un soggetto risultato positivo e altri dispositivi (attraverso l’incrocio di tipologie potenzialmente diverse di dati quali quelli derivanti da transazioni commerciali, gps, celle telefoniche, bluetooth), al fine di mappare a ritroso i contatti avuti e di ricostruire la catena dei contagi.

Anche se è stato chiaro fin da subito che la tecnologia avrebbe giocato un ruolo di primo piano per contrastare l’epidemia, e che nello scontro tra salute pubblica e privacy ad avere la meglio non poteva che essere la prima, il tema del contact tracing è molto dibattuto in questi giorni: pur trattandosi di una misura attuata con la finalità solidaristica di sottoporre ad accertamenti quanti siano entrati potenzialmente in contatto con un soggetto risultato positivo, le inevitabili limitazioni del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali che ne derivano devono essere attentamente valutate, nel necessario bilanciamento tra diritti contrapposti.

Il Presidente del Garante per la protezione dei dati personali si è espresso più volte nelle scorse settimane sullo strumento del tracciamento dei contatti, da ultimo nel corso dell’audizione informale alla Commissione Trasporti della Camera dell’8 aprile 2020. Il 14 aprile si è espresso anche il Presidente del Comitato Europeo per la protezione dei dati nella lettera alla Commissione Europea sul progetto di linee guida in materia di app per il contrasto della pandemia dovuta al Covid-19. 

Entrambi hanno insistito sulla necessità che la app sia adottata su base volontaria e quindi attraverso una scelta compiuta dai singoli nel segno di una responsabilità collettiva, senza penalizzazioni per chi non intendesse farne uso, precisando che l’obiettivo di questo strumento non è quello di geolocalizzare e quindi seguire gli spostamenti individuali ma quello di individuare eventi e cioè il contatto con soggetti positivi. La tecnologia alla base della raccolta dovrebbe quindi essere quella del bluetooth, in grado di evidenziare dati su interazioni più strette di quelle individuabili nelle celle telefoniche o nel gps, nell’ottica quindi di registrare gli effettivi incontri e non i movimenti. Per quanto riguarda la memorizzazione dei dati gli scenari sono due: i dati potrebbero essere conservati o sul dispositivo mobile dei soggetti interessati o sul server che indicheranno le istituzioni. La prima soluzione sarebbe preferibile perché più in linea con il principio di minimizzazione, ed eviterebbe il problema della durata della conservazione.

È sicuramente anche in considerazione di questi principi che dovranno essere definite a brevissimo le funzionalità specifiche della app Immuni, nell’ambito di quelle messe a disposizione. Quello che è certo è che si tratterà di uno strumento basato sull’adozione volontaria e che pertanto la sua efficacia diagnostica dipenderà dal grado di adesione che incontrerà, essendo la percentuale minima stimata nell’ordine del 60% della popolazione.