Il Decreto Legislativo n. 231/2001 ha introdotto nell’ordinamento italiano la responsabilità amministrativa delle società per taluni reati commessi da apicali e sottoposti a vantaggio o nell’interesse della società datrice di lavoro.

La normativa in esame nasce nel 2001 principalmente per responsabilizzare le società in caso di commissione dei reati di corruzione e concussione.

Si pensava, infatti, all’epoca che una siffatta disciplina potesse limitare quei comportamenti – per così dire – aggressivi di alcuni dipendenti, i quali con il silente benestare della società cui appartenevano commettevano piccoli o grandi atti di corruzione per migliorare i risultati aziendali.

L’impianto del Decreto Legislativo n. 231/2001 è stato molto apprezzato sia a livello nazionale che a livello internazionale, al punto che alcuni Paesi lo hanno semplicemente tradotto nella propria lingua ed adottato.

Si è, inoltre, riscontrato nel tempo che il Decreto Legislativo n. 231/2001 ha avuto una significativa efficacia nell’abbattimento dei rischi di commissione di reati da parte dei dipendenti delle società. Inoltre, il legislatore ha rinvenuto nel Decreto Legislativo n. 231/2001 una formidabile opportunità di delegare forzosamente alle imprese taluni compiti di controllo, verifica e responsabilità che sarebbero propri delle pubbliche autorità.

Per tali ragioni, nel tempo il legislatore italiano ha aggiunto ai reati di corruzione, inizialmente oggetto pressoché esclusivo del Decreto Legislativo n. 231/2001, un numeroso elenco di ulteriori reati (circa 150) e le società oggi si trovano così costrette ad individuare presidi, regole e modalità di controllo per tutta una serie di rischi (la cui inefficacia o inesistenza comporta, in caso di reato, una rilevante sanzione amministrativa).

I reati tributari sembravano ontologicamente da escludersi dai reati rilevanti ai sensi del Decreto Legislativo n. 231/2001, ma le pressioni internazionali, sociali ed anche della magistratura hanno portato il legislatore a ripensare la materia.

Inizialmente, con timidezza, è stato così inserito tra i reati che comportano la responsabilità amministrativa degli enti il reato di autoriciclaggio che in ipotesi ricomprende, tra i propri reati presupposto, tutti i reati ivi inclusi quelli tributari.

La dottrina maggioritaria, però, si è opposta a tale estensiva interpretazione ed ha limitato l’autoriciclaggio, quale reato rientrante nel Decreto Legislativo n. 231/2001, solo per quei reati presupposto che erano già presenti nel decreto legislativo così escludendo i reati tributari.

Dopo lo smacco ricevuto dall’interpretazione dottrinale sull’autoriciclaggio, il legislatore ha ritenuto di inserire i reati tributari nel Decreto Legislativo n. 231/2001 addirittura attraverso la decretazione d’urgenza (Decreto Legge 26 ottobre 2019, n. 124, convertito poi in legge con modificazioni dall’ art. 1, comma 1, L. 19 dicembre 2019, n. 157), intitolando il decreto “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili”.

Con tale normativa sono stati inseriti nell’impianto del Decreto Legislativo n. 231/2001 vari rilevanti reati tributari quali la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, l’occultamento o distruzione di documenti contabili e la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte.

Nel frattempo, l’Unione Europea, preoccupata che gli Stati Membri non le versassero in misura adeguata l’IVA, emetteva una direttiva che imponeva agli Stati Membri di sanzionare il mancato pagamento dell’IVA.

In data 14 luglio 2020 (ovvero pochi giorni fa) veniva, così, introdotta in Italia la nuova normativa (Decreto Legislativo n. n. 75/2020) in tema di IVA.

Anche in tal caso, il legislatore ha ritenuto di inserire i reati connessi all’IVA nell’impianto del Decreto Legislativo n. 231/2001.

Con la Legge 157/2019 ed il Decreto Legislativo n. 75/2020, dunque, i reati tributari sono entrati ufficialmente nel Decreto Legislativo n. 231/2001.

Vari sono i problemi che si pongono ora in seguito all’inserimento dei reati tributari nella lista dei reati presupposto della responsabilità amministrativa degli enti.

Innanzitutto, rende perplessi il fatto che a fronte di un solo fatto vi possano essere più sanzioni (sanzioni personali a carico degli agenti, sanzioni a carico della società per il reato tributario specifico e poi per i singoli successivi reati che sono l’effetto sostanzialmente naturale del primo).

In secondo luogo, non si comprende quali ulteriori presidi possano venire posti in essere dalle società quando queste ultime hanno già un Collegio Sindacale o un Sindaco, nonché un Revisore, che effettuano i controlli di legittimità e di merito.

Cosa si può aggiungere a tali controlli senza gravare eccessivamente sulla società stessa in termini di procedure e costi?

Si è ipotizzato un rafforzamento dei presidi (cosiddetto “Tax Control Framework”) che preveda, da una parte, una maggiore regolamentazione e proceduralizzazione delle attività interne della società correlate alla gestione dell’ambito fiscale e, dall’altra, una “cooperazione rafforzata” tra autorità fiscali e contribuente.

Il Tax Control Framework appare essere sicuramente applicabile per aziende di dimensioni rilevanti, ma è poco percorribile per le piccole e medie imprese. Inoltre, è improbabile che le autorità fiscali dedichino tempo e risorse per coordinarsi con le piccole o medie realtà.

Le società medio piccole, dunque, potranno solamente migliorare il proprio Modello Organizzativo e confidare che i presidi ordinari tesi ad evitare la commissione di reati societari, nonché i controlli del Collegio Sindacale, dei Revisori e dell’Organismo di Vigilanza siano ritenuti – ex post, da un eventuale giudicante – sufficienti per l’esenzione della responsabilità della società ai sensi e per gli effetti del Decreto Legislativo n. 231/2001.

Cosa possono in concreto fare le piccole e medie società per tutelarsi di fronte al rischio di commissione di reati tributari? Certamente possono aggiornare il Modello Organizzativo eventualmente individuando ulteriori procedure di controllo.

L’Organismo di Vigilanza, poi, dovrà effettuare alcune ulteriori verifiche in ambito fiscale ed ottenere dei report dal Collegio Sindacale e dai Revisori più puntuali.