La giustizia, come noto, non riesce a stare al passo con l’economia né è dotata dei caratteri di contestualità rispetto al fatto storico cui la decisione giudiziale si riferisce.

Pertanto, da un lato oggi l’Italia sta cercando di partire nel pieno della fase 2 e in vista della fase 3 (intesa come rientro alla piena normalità); dall’altro le cancellerie sono alle prese con la pubblicazione dei primi provvedimenti, di natura cautelare, relativi alle controversie tra affittuari e concedenti in merito al pagamento del canone e degli oneri comuni nella fase 1, caratterizzata dalla chiusura obbligata dei negozi di vendita al dettaglio della maggior parte dei prodotti.

Una delle decisioni più interessanti è rappresentata dall’ordinanza del Tribunale di Roma del 29 maggio 2020, che contiene una completa disamina delle disposizioni legislative spesso invocate dagli interpreti nelle scorse settimane per giustificare il mancato pagamento del  canone da parte dei retailers, nonché, dal lato della proprietà, la debenza di quest’ultimo.

I fatti di causa sono caratterizzati da alcune circostanze che rendono peculiare la fattispecie sottoposta al giudizio del Tribunale.

Il punto di partenza è rappresentato da due contratti di affitto di rami aziendali, conclusi tra un retailer (titolare di più insegne commerciali) e la proprietà di un centro commerciale romano in relazione a due rami di azienda insistenti presso il medesimo centro. Già ad inizio 2019 il retailer lamenta una drastica riduzione dei ricavi, che spinge la proprietà a risolvere consensualmente uno dei due contratti di affitto (evidentemente il meno profittevole) e a concedere un piano di rientro, con durata biennale e con pagamento di 24 rate mensili, rispetto al debito pregresso. Nello stesso contesto la proprietà concede il pagamento a cadenza mensile e non trimestrale dei canoni del contratto di affitto e la riduzione dell’importo dal canone minimo garantito. Nessuna modifica viene prevista rispetto alle due garanzie rilasciate dalla banca dell’affittuario a garanzia delle obbligazioni di pagamento degli oneri comuni e di tutti gli altri importi previsti nel contratto. Con l’avvento dell’emergenza Coronavirus, la proprietà consentiva all’affittuario di posticipare a maggio 2020 la scadenza dei pagamenti dovuti per il mese di aprile.

Nell’aprile 2020 l’affittuario presenta un ricorso ex art. 700 c.p.c. chiedendo, ed ottenendo, un decreto inaudita altera parte (cioè senza l’audizione della controparte) di inibitoria dell’escussione delle garanzie bancarie e, in via principale, la sospensione della corresponsione per un periodo pari a 6 mesi (o per il diverso tempo stabilito dal giudice) e la (conferma dell’) inibitoria delle garanzie, mentre in via subordinata chiedeva al giudice di rideterminare i termini di pagamento. La proprietà si costituiva chiedendo il rigetto delle domande del retailer in quanto non sussisteva il requisito del periculum in mora (vale a dire del danno grave e irreparabile), necessario per l’emissione di un provvedimento cautelare, e del pari, le argomentazioni giuridiche proposte dal ricorrente erano infondate.

Appare quindi opportuno esaminare le ragioni giuridiche prese in considerazione del Tribunale di Roma nella decisione.

In primo luogo, il giudice afferma che nonostante la presenza di numerose norme nella legislazione emergenziale che hanno previsto molti benefici a favore degli operatori economici (sospensione del versamento di alcune imposte, proroga dei termini di pagamento delle rate dei finanziamenti e dei mutui, sospensione dei termini processuali), non è tuttavia possibile dedurre l’esistenza di una norma di carattere generale che preveda la sospensione dell’obbligo di pagamento del canone di locazione e/o di affitto a beneficio dei retailers.

Inoltre, gli articoli 1175 e 1375 c.c. non possono costituire il fondamento di una decisione giudiziale avente ad oggetto la sospensione del pagamento del canone o la rinegoziazione dello stesso. Infatti è vero che tali disposizioni regolano il principio di buona fede oggettiva che si concretizza nel dovere di ciascun contraente di cooperare nella realizzazione dell’interesse della controparte e quindi danno luogo ad un obbligo di solidarietà; ma tale obbligo sussiste qualora e fino a quando esso non comporti un sacrificio apprezzabile a carico della parte verso la quale esso è fatto valere e quindi non può essere “dilatato” fino a toccare la misura e i termini di corresponsione del canone.

In merito alla risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, prevista dall’articolo 1467 c.c., invocato dal ricorrente in virtù dei caratteri di straordinarietà e imprevedibilità dell’emergenza Coronavirus che ha reso eccessivamente onerosa l’obbligazione di pagamento del canone in considerazione della sospensione dell’attività di vendita dell’affittuario, il giudice ha riconosciuto che tale istituto è incompatibile con la conservazione del contratto essendo idoneo a provocare lo scioglimento del rapporto, ritenendolo inapplicabile al caso di specie.

Più pertinente, secondo il Tribunale, risulta il richiamo alla impossibilità parziale della prestazione.

Infatti, secondo il giudice, l’oggetto del contratto riguarda un ramo di azienda che si compone sia della facoltà dell’affittuario di occupare i locali sia della facoltà di ivi esercitare l’attività di vendita.

Il caso di specie risulta, in base all’ordinanza, peculiare perché l’impossibilità della prestazione è sia parziale che temporanea.

E’ parziale perché la prestazione del concedente è impossibile solo rispetto all’obbligo di consentire l’esercizio dell’attività di vendita e non anche rispetto all’obbligo di occupare i locali e temporanea perché la vendita al dettaglio è preclusa fino al 18 maggio 2020.

In base all’articolo 1464 c.c., quando la prestazione è solo parzialmente impossibile, l’altra parte ha diritto ad una riduzione della controprestazione (nel caso oggetto di analisi, del canone).

In base all’articolo 1464 c.c. il giudice concede quindi una riduzione del canone dovuto per due mesi pari al 70% del totale, dando atto che la porzione di prestazione rimasta ineseguita è quella di maggior significato economico nell’ambito del sinallagma.

In merito alle altre domande, il giudice riconosce che le circostanze di fatto non consentono di giustificare riduzioni o ulteriori dilazioni di pagamento delle rate del piano di rientro già concordato né degli oneri accessori, i quali sono connessi alla materiale disponibilità dei locali che è rimasta, anche nel periodo di chiusura, in capo alla ricorrente.

A livello giuridico il Tribunale ha concluso l’ordinanza con il rigetto delle domande del ricorrente: infatti, per l’emissione di un’ordinanza cautelare, è necessario un pregiudizio irreparabile che il giudice esclude nel caso, come quello oggetto di esame, in cui un retailer benefici di una sospensione del pagamento di Euro 10.000,00, importo pari al 70% delle due mensilità di canone.

Tuttavia, nonostante l’esito formalmente sfavorevole per il retailer, la decisione presenta interessanti spunti di riflessione per l’applicazione dell’istituto dell’impossibilità parziale (e temporanea) della prestazione nel contesto dei contratti di affitto di ramo aziendale la cui attività è stata interessata dal blocco dell’attività durante la fase 1 della pandemia.