Fino all’entrata in vigore del “Decreto Rilancio” (Decreto Legge n. 34/2020, convertito in legge n. 77/2020), l’omesso o ritardato versamento dell’imposta di soggiorno da parte dell’albergatore, in favore del Comune, integrava il delitto di peculato.

Secondo la giurisprudenza, l’amministratore di una società di gestione di hotel poteva essere condannato per il delitto di peculato, ex art 314 c.p. (Cass., VI, 7 febbraio 2019, n. 613).

Il delitto punisce il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso di denaro o di altra cosa mobile, appartenente alla pubblica Amministrazione, se ne appropria, ovvero lo distrae a profitto proprio o di altri.

Ebbene: tra il gestore di una struttura ricettiva ed il Comune si instaurava – secondo la giurisprudenza contabile, civile e penale – un rapporto di servizio pubblico che implicava il maneggio di denaro pubblico.

Tra l’altro, ogni controversia intercorrente con l’ente impositore avente ad oggetto la verifica dei rapporti di dare e avere e il risultato finale di tali rapporti dava luogo ad un giudizio di conto, sul quale sussisteva la giurisdizione della Corte dei Conti.

L’attività di accertamento e riscossione dell’imposta comunale ha invero natura di servizio pubblico e l’obbligazione del concessionario di versare all’ente locale le somme a tale titolo incassate ha natura pubblicistica, essendo regolata da norme che deviano dal regime comune delle obbligazioni civili in ragione della tutela dell’interesse della pubblica amministrazione creditrice alla pronta e sicura esazione delle entrate.

Il soggetto privato si inserisce nell’iter procedimentale dell’ente pubblico, come compartecipe dell’attività pubblicistica di quest’ultimo e acquisisce la qualifica di agente contabile, a tal fine essendo sufficiente che, in relazione al maneggio di denaro, sia costituita una relazione tra ente pubblico ed altro soggetto, per la quale la percezione del denaro avvenga, in base a un titolo di diritto pubblico o di diritto privato, in funzione della pertinenza di tale denaro all’ente pubblico e secondo uno schema procedimentale di tipo contabile.

Il gestore della struttura, incaricato della riscossione dell’imposta di soggiorno in esame, rivestiva – di conseguenza – la qualità di incaricato di pubblico servizio, anche in assenza di un preventivo, specifico incarico da parte della pubblica amministrazione, in considerazione della natura prettamente pubblicistica della sua attività (anche in considerazione degli obblighi gravanti sul gestore, tenuto alla presentazione delle dichiarazioni relative all’imposta di soggiorno versata dai clienti e all’integrale riversamento della stessa al Comune).

La contestabilità del peculato in caso di ritardato o omesso versamento delle somme incassate a titolo di imposta di soggiorno da parte dei soggetti a ciò obbligati determinava ulteriori gravi conseguenze, derivanti dall’entrata in vigore della cosiddetta “Legge Spazzacorrotti” (legge n. 3/2019).

Ai sensi della predetta legge, il peculato rientra nel novero dei cosiddetti reati “ostativi”, di cui all’art. 4-bis, comma 1, dell’Ordinamento Penitenziario (legge n. 354/1975).

In caso di condanna per peculato, “l’ordine di esecuzione della condanna, ai sensi dell’art. 656, comma 9 c.p.p. non verrà più sospeso per trenta giorni, al fine di consentire la richiesta, da parte del condannato, di applicazione di misure alternative alla detenzione, con la conseguenza ulteriore che il condannato al quale non sia stata concessa la sospensione condizionale della pena dovrebbe comunque fare ingresso in carcere, per poi richiedere l’applicazione della misura alternativa alla detenzione” (Bico – Corinaldesi, Omesso o ritardato versamento della tassa di soggiorno e peculato: profili sostanziali ed esecutivi a seguito dell’entrata in vigore della c.d. Legge spazzacorrotti, in Giurisprudenza Penale Web, 2019, 11).

Tuttavia, sul tema specifico deve essere segnalato un recentissimo e radicale cambio di rotta normativo.

Il menzionato decreto-legge “rilancio” ha qualificato l’omesso o ritardato versamento dell’imposta di soggiorno quale illecito amministrativo (art 180): operando, quindi, una abolitio criminis.

Sul tema è già intervenuta una sentenza di merito (Tribunale di Rimini, Giudice dell’udienza preliminare, 24 luglio 2020, in Giurisprudenza penale web, 25 luglio 2020), secondo la quale:

a partire dall’entrata in vigore della legge di conversione del c.d. decreto rilancio, la condotta del gestore della struttura ricettiva che non versa al Comune l’imposta/contributo di soggiorno, dovuta in via principale dagli ospiti, non può più costituire peculato…

Depone nel senso della abolitio criminis del peculato dell’albergatore e della sua sostituzione con un illecito amministrativo il contenuto dei commi 3 e 4 dell’art. 180 ove il legislatore, nel dettare la disciplina sanzionatoria, valida sia per le strutture turistiche ricettive, sia in caso di locazione breve, ha previsto che, in caso di omessa o infedele presentazione della dichiarazione da parte del responsabile, si applichi la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento dal 100 al 200 per cento dell’importo dovuto, mentre nel caso di omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta di soggiorno e del contributo di soggiorno, si applichi la sanzione amministrativa pecuniaria ai sensi dell’art. 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997, intitolato: “Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi”.

Il chiaro riferimento a sanzioni di natura non penale denota l’intenzione del legislatore di depenalizzare la condotta e – verosimilmente – sostenere gli albergatori che versano in difficoltà a causa della pandemia, per i quali è apparsa eccessiva e sproporzionata la pena della reclusione fino a dieci anni e sei mesi di reclusione e la possibilità di sequestro e confisca.