La guerra in Ucraina: cosa succede ai contratti in essere?
La guerra in Ucraina: cosa succede ai contratti in essere?
È noto che la guerra in Ucraina stia producendo una serie di effetti in tutto il mondo: tra essi i più rilevanti sono l’aumento del costo del petrolio e del gas e l’aumento del costo del grano e di altri prodotti alimentari.
L’aumento del costo del petrolio incide rilevantemente sui costi di trasporto in primis ma anche sulla produzione di alcuni prodotti quando per la loro realizzazione o per il materiale utilizzato è necessario acquistare petrolio, gas o loro derivati (si pensi alle aziende energivore o agli stabilimenti ove la plastica è un prodotto di base).
Allo stesso modo, l’aumento del costo del grano incide sul costo di alcuni prodotti alimentari che hanno tale cereale come elemento primario (si pensi alla pasta, al pane ecc.).
L’insorgere della guerra in Ucraina, dunque, ha destabilizzato molti operatori del mercato e delle filiere, seppur in misura diversa a seconda dell’industria di appartenenza.
In tale situazione, coloro che si sono obbligati, prima dell’inizio della guerra in Ucraina a produrre o vendere determinati prodotti a specifici prezzi pre-concordati si trovano oggi a produrre o vendere beni al costo o sottocosto, con grave danno per l’azienda produttrice o venditrice.
Ci si domanda, dunque: cosa succede ai contratti di durata ove un’impresa della catena produttiva ha pattuito un prezzo non più sostenibile? Il contratto può essere risolto? Può essere modificato unilateralmente il prezzo?
Il principio generale è certamente pacta sunt servanda, ma tale principio viene attenuato dal legislatore in presenza di particolari situazioni imprevedibili al momento della stipulazione del contratto.
Ad esempio, l’art. 1467 codice civile in tema di compravendita dispone che “nei contratti a esecuzione continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’articolo 1458. La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto. La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto”, mentre l’art. 1664 codice civile in tema di appalto recita: “qualora per effetto di circostanze imprevedibili si siano verificati aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d’opera, tali da determinare un aumento o una diminuzione superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto, l’appaltatore o il committente possono chiedere una revisione del prezzo medesimo. La revisione può essere accordata solo per quella differenza che eccede il decimo. Se nel corso dell’opera si manifestano difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili, non previste dalle parti, che rendono notevolmente più onerosa la prestazione dell’appaltatore, questi ha diritto a un equo compenso”.
Le soluzioni per i casi sopra esemplificati sono molteplici e dipendono prevalentemente dalla fattispecie concreta. Ciò che è certo è che chi fornisce la merce non può lavorare sottocosto e chi ha ordinato la merce non può trovarsi a dover pagare un importo del tutto fuori mercato a causa degli aumenti dei costi di fornitura.