Nel mondo delle locazioni commerciali e dei contratti di affitto, la recente crescita sostenuta dell’inflazione ha fatto riaffiorare l’interesse degli operatori alle clausole di adeguamento del canone nel corso del contratto. Nascono dunque tra gli addetti ai lavori svariate idee per scongiurare un’indicizzazione incongrua e garantire al contempo un ragionevole adeguamento dei corrispettivi nel tempo: vediamo quali.

Quali soluzioni contrattuali per disinnescare un aumento incontrollato dei canoni di locazione ed affitto alla luce della vertiginosa crescita inflazionistica?


Occorre anzitutto muoversi all’interno dei “paletti” dettati dalla normativa applicabile. Se nelle locazioni commerciali la Legge impone di regola un’aggiornamento annuale massimo nella misura del 75% dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo, nei contratti di affitto di ramo d’azienda – che di prassi vengono adottati in Centri Commerciali ed outlet – non si applica tale limitazione.
Inoltre, va tenuto presente che nessun vincolo si applica alle locazioni commerciali che hanno una durata superiore alla quella minima individuata dalla legge (dunque superiore ai contratti “6+6”) e alle così dette “grandi locazioni“.


Un tradizionale freno all’indicizzazione è senz’altro quello di individuare contrattualmente un tetto massimo annuale di aumento del canone in virtù dell’indicizzazione. Ancora, il primo adeguamento annuale del canone all’inflazione può essere differito dall’inizio del secondo anno di durata contrattuale ad un momento successivo, confidando nella prospettiva di un abbassamento progressivo dei tassi.
A tali rimedi classici, si affiancano idee più innovative che tengono conto del fatto che l’inflazione non colpisce simmetricamente tutte le categorie e tutti i settori merceologici.
Infatti, per esempio, se nel mese di settembre 2022 la variazione dell’indice generale ISTAT (e dunque la variazione media) è stata del + 8,4 %, va considerato che la variazione per le voci di acqua, elettricità e combustibili è ad un picco del + 32,1% mentre il settore dell’abbigliamento e delle calzature conosce un inflazione molto più modesta, pari al 2,5%.


Ne discende che un adeguamento del canone basato indiscriminatamente sull’indice generale ISTAT (che rappresenta una media generalizzata) può creare storture a seconda della categoria merceologica in cui opera il retailer colpito dall’aumento.


Tanto premesso, una possibile opzione per disinnescare l’aumento vertiginoso dei canoni, è quella di basare il calcolo dell’indicizzazione sugli indici specifici relativi alle singole categorie merceologiche e alle tipologie di prodotto commercializzato.


Dunque le soluzioni contrattuali non mancano: non resta che valutarne l’applicazione, caso per caso, nel delicato e non sempre agevole bilanciamento dei contrapposti interessi delle proprietà e dei retailer.