Fideiussioni omnibus: illecito anticoncorrenziale e nullità parziale
La recente sentenza n. 41994 – adottata a Sezioni Unite dalla Corte di Cassazione lo scorso 30 dicembre – ha posto fine al copioso dibattito giurisprudenziale sviluppatosi nel corso degli ultimi 15 anni in tema di fideiussioni omnibus recanti disposizioni conformi allo schema a suo tempo predisposto dall’Associazione Bancaria Italiana (“ABI”).
A fini definitori, la fideiussione omnibus è quella fideiussione con cui un soggetto garantisce tutti i debiti che un debitore abbia assunto o possa assumere nei confronti di un creditore (solitamente un istituto di credito). Si tratta di uno strumento molto utilizzato nella prassi (specie nei rapporti tra capogruppo e controllate al fine di facilitare l’accesso al credito), sviluppatosi nel corso degli anni anche sulla base di un modello originariamente predisposto dall’ABI.
Senza dilungarsi eccessivamente sugli antefatti, è sufficiente considerare che la Banca d’Italia – con il provvedimento n. 55 del 2005 – aveva dichiarato che tre specifici articoli del predetto modello dell’ABI fossero in contrasto con le norme per la tutela della concorrenza e del mercato, in quanto l’ampia diffusione degli stessi era frutto di un’intesa restrittiva della concorrenza.
Nello specifico, le tre clausole dichiarate nulle erano le seguenti:
- la clausola di riviviscenza (“Il fideiussore si impegna a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo”);
- la clausola di rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c. (“I diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 cod. civ., che si intende derogato”);
- la clausola di sopravvivenza (“Qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate”).
Ora, nonostante il predetto provvedimento della Banca d’Italia, sono molti gli istituti di credito che negli anni hanno manutenuto all’interno dei loro modelli di fideiussione omnibus le disposizioni sopra descritte.
Di conseguenza, la dottrina e la giurisprudenza si sono interrogate circa la legittimità di tale condotta e l’eventuale nullità delle fideiussioni omnibus così emesse.
Il dibattito ha dato vita a molteplici orientamenti, riassumibili in tre posizioni.
In particolare, vi è stato chi ha sostenuto che tali contratti di fideiussione fossero perfettamente validi, considerato che la nullità era stata dichiarata per l’intesa a monte e non per i singoli contratti derivati.
Un secondo orientamento invece si poneva in senso diametralmente opposto, sostenendo che le fideiussioni che riportavano le clausole sopra citate fossero nulle nella loro interezza, in quanto riproduttive di disposizioni frutto di un’intesa anticoncorrenziale: sostenendo quindi l’esistenza di un collegamento negoziale tra l’intesa a monte ed i singoli contratti di fideiussione, la conseguenza logica non poteva che essere la nullità totale di tali atti derivati.
Il terzo e ultimo principale orientamento aderiva al rimedio della nullità, ma non lo estendeva all’intero contratto di fideiussione, bensì lo limitava alle singole clausole sopra ricordate: questo perché l’eliminazione delle clausole anticoncorrenziali non farebbe venire meno né l’interesse delle parti all’operazione, né la causa del contratto stesso. Si tratterebbe quindi di una mera nullità parziale delle fideiussioni, che resterebbero valide ed efficaci nonostante l’eliminazione delle clausole nulle.
Proprio a quest’ultimo orientamento hanno aderito le Sezioni Unite nella sentenza n. 41994/2021, spiegando che la nullità dell’intesa a monte determina la nullità delle sole clausole riproduttive del modello ABI e non dell’intera fideiussione. Fa eccezione il caso in cui si dimostri che – in assenza di tali clausole – le parti non avrebbero avuto un interesse in concreto alla stipulazione dell’accordo: in tale ultima eventualità, l’intera fideiussione sarà colpita da nullità.
Dalla predetta pronuncia non deriva solamente la nullità e quindi l’inapplicabilità delle disposizioni citate, bensì vi sono alcune ulteriori conseguenze da tenere in debita considerazione.
In primo luogo, qualora il fideiussore abbia corrisposto somme in conseguenza dell’applicazione della clausola nulla, allora questi avrà diritto ad agire in giudizio per la ripetizione di tali importi.
In secondo luogo, il fideiussore – con la conclusione di un contratto parzialmente nullo per le motivazioni sopra esposte – subisce gli effetti pregiudizievoli dell’intesa lesiva della concorrenza, con la conseguenza che vi sarà pieno titolo per richiedere ed ottenere il risarcimento del danno derivante dall’illecito anticoncorrenziale, o ancora – eventualmente – dalla conseguente illegittima segnalazione alla Centrale Rischi.
Da ultimo, si ritiene che la pronuncia delle Sezioni Unite non vada interpretata nel senso di esonerare l’eventuale parte attrice dall’onere di provare l’effettiva esistenza di un’intesa. Per meglio spiegare, la presenza di tali clausole nella fideiussione – sebbene possa costituire un indice rilevante – non è sufficiente: colui che agisce in giudizio dovrà comunque dimostrare che – al momento in cui ha stipulato il contratto di fideiussione – un numero non trascurabile di istituti bancari faceva utilizzo delle predette clausole.