Nella prassi immobiliare è frequente il pagamento di somme a titolo di key-money da parte del nuovo conduttore, soprattutto in relazione alle locazioni di immobili situati in zone di prestigio. La qualificazione e la disciplina giuridica di tali pagamenti presentano numerose peculiarità che vengono riassunte nei tratti essenziali dal presente articolo.

Una recente decisione della Corte di Cassazione (ordinanza n. 368 del 10 gennaio 2023) ha riaffrontato il tema della validità del patto di buona entrata nel contesto dei contratti di locazione ad uso non abitativo.
La buona entrata (key money, nei contesti internazionali) rappresenta una somma di denaro pagata dal conduttore ad inizio del rapporto di locazione. Essa, da un punto di vista meramente commerciale, costituisce una spesa, aggiuntiva rispetto al canone e agli oneri comuni, che il conduttore paga per (essere preferito ad altri concorrenti ed) ottenere in tempi rapidi la disponibilità dei locali. Il beneficiario del key-money è il locatore; in alcuni casi il beneficiario è il conduttore uscente (si parla, in tal caso, di pagamento a titolo di “buona uscita”).
L’esame, dal punto di vista giuridico, del pagamento della buona entrata deve essere svolto tenendo in considerazione la legge sull’equo canone che regola le locazioni commerciali. Essa, infatti, sancisce la nullità di ogni pattuizione del contratto di locazione che attribuisce al locatore un vantaggio in contrasto con le disposizioni della legge 392/1978. Come noto, la normativa si basa sulla protezione della parte debole del rapporto, il conduttore: sono previsti stringenti limiti per la revisione del canone nel corso del rapporto (tali per cui il canone può essere incrementato solo ai fini dell’adeguamento all’inflazione), norme che stabiliscono il valore massimo del deposito cauzionale (che non può superare le tre mensilità) nonché il principio generale secondo il quale il conduttore non è tenuto a pagare somme ulteriori rispetto al canone di locazione e agli oneri comuni (e al deposito cauzionale, se previsto). Pertanto, a stretto rigore, la previsione e il pagamento di una somma a titolo di buon’entrata a favore del locatore è nulla e legittima il conduttore a chiederne – entro sei mesi dal termine della locazione – la restituzione. In realtà la giurisprudenza ammette, in limitati casi, il pagamento della buona entrata, a condizione che tale dazione presenti una giustificazione causale e quindi sia legata ad attività e/o spese sopportate dal locatore per favorire la (rapida) consegna dei locali al conduttore. A tal fine occorre prestare molta attenzione alla redazione della relativa clausola contrattuale e alla rappresentazione delle (effettive) attività svolte dal locatore che giustifichino il pagamento della buona entrata.
La giurisprudenza appare meno rigida nel riconoscere la validità del patto di buon’uscita: va tuttavia segnalato che anche tale pattuizione presenta possibili profili patologici. Dato che il rilascio dell’immobile al termine della locazione è previsto dalla legge, la previsione di una condizione (i.e. il pagamento della buon’uscita) per la liberazione del bene, e quindi per l’esecuzione di un obbligo normativo, potrebbe dare adito all’invalidità del relativo accordo di key-money, che deve essere redatto con particolare attenzione e diligenza.