Il contratto internazionale di agenzia commerciale sotto la lente della Corte di Giustizia Europea
Il contratto internazionale di agenzia commerciale sotto la lente della Corte di Giustizia Europea
La decisione di affacciarsi ad un nuovo mercato estero avviene spesso attraverso la scelta di un agente di commercio locale, reputato esperto conoscitore del mercato e dei prodotti. E’ tuttavia estremamente importante che fin dall’inizio dell’attività venga stipulato un contratto, che non potrà essere semplicemente la copia dei contratti utilizzati per gli agenti che operano sul mercato interno.
Nel momento in cui un’azienda incarica un agente di commercio di promuovere stabilmente i propri prodotti in un Paese straniero, sorge un rapporto contrattuale che è sottoposto alle regole del diritto internazionale.
Se viene stipulato un contratto scritto, le parti possono decidere di sottoporlo alla legge del Paese dell’agente o di quello del preponente e decidere altresì il giudice competente per eventuali controversie. E’ tuttavia importante ricordare che se il contratto non contiene tali clausole, il contratto sarà regolato dalla legge del luogo in cui l’agente ha sede (Reg. CE 593/2008) e, se l’agente ha sede in uno Stato membro dell’Unione, sarà sottoposto alla competenza del giudice del luogo in cui l’agente svolge la propria attività (Reg. UE 1215/2012).
Esistono ancora importanti differenze nella disciplina del diritto di agenzia dei diversi Stati membri dell’Unione, nonostante da molti anni sia in vigore una direttiva di armonizzazione (Dir. 86/653/CEE). Per questo è molto importante il ruolo della Corte di Giustizia Europea, che interpretando la direttiva contribuisce ad uniformare maggiormente la disciplina tra gli Stati ed a correggere alcune storture che persistono nei diritti nazionali.
Le controversie più frequenti, come è facile immaginare, riguardano il diritto dell’agente all’indennità di fine rapporto, diritto che la direttiva prevede qualora dopo la cessazione del rapporto la preponente riceva ancora vantaggi dalla clientela apportata dall’agente ed il pagamento di un’indennità sia equo considerando le provvigioni che l’agente perde.
Con una sentenza del 19 aprile 2018 (c. C-645/16) riferita ad un caso francese, la Corte ha stabilito, ad esempio, che l’indennità di fine rapporto spetta all’agente anche in caso di cessazione del rapporto durante il periodo di prova: la direttiva infatti considera il diritto all’indennità una disposizione imperativa, che non prevede eccezioni e non può essere derogata a sfavore dell’agente, per cui il diritto interno deve necessariamente adeguarsi.
Con una recentissima sentenza del 23 marzo 2023 (c. C-574/21) la Corte ha invece esaminato un caso della Repubblica Ceca, in cui l’agente promuoveva contratti di abbonamento a servizi di telefonia, che avevano una durata massima, e veniva retribuito con provvigioni una tantum per ciascun contratto concluso. Sia in primo grado che in appello i giudici della Repubblica Ceca avevano negato all’agente il diritto all’indennità di fine rapporto. La Corte, al contrario, ha affermato che anche in caso di provvigioni una tantum è dovuta all’agente l’indennità di fine rapporto. La preponente potrebbe infatti stipulare nuovi contratti (o rinnovare i contratti esistenti) con la clientela procurata dall’agente, contratti che se il contratto fosse proseguito avrebbero dato diritto al pagamento di nuove provvigioni una tantum all’agente: sussistono quindi i presupposti previsti dalla direttiva per il versamento dell’indennità di fine rapporto.