Novità legislative in materia di rapporti tra imprese e termini di pagamento nei rapporti tra imprese del Food
Lo scorso 15 dicembre 2021 è entrato in vigore il nuovo decreto legislativo n. 198/2021 in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare, in attuazione della Direttiva UE 2019/633. Come vedremo in seguito, in realtà il legislatore italiano ha completamente stravolto l’approccio, apparentemente più corretto, tenuto dal legislatore europeo.
Il nuovo decreto si applica nelle relazioni commerciali tra acquirenti e fornitori di prodotti agricoli e alimentari. Si tratta, quindi, di relazioni tra imprese, mentre sono esclusi i rapporti con il consumatore finale. L’obiettivo dichiarato è quello di portare un maggiore equilibrio nei rapporti commerciali tra le imprese poste a diversi livelli della filiera agricola e alimentare. Benché l’obiettivo sia apprezzabile, dai primi commenti sembra che questo nuovo decreto abbia quale risultato di irrigidire ulteriormente i rapporti commerciali nella filiera.
Tra le altre cose, il nuovo decreto ha abolito l’art. 62 del d.l. n. 1/2012, che disciplinava in precedenza la cessione dei prodotti agricoli e agroalimentari ed ha disposto l’obbligo per le aziende di adeguare i contratti in essere entro sei mesi dall’entrata in vigore del nuovo decreto, quindi entro il 15 giugno 2022.
La nuova normativa prevede l’obbligo della stipulazione di contratti scritti prima della consegna dei prodotti, indicando all’interno del testo contrattuale alcuni elementi essenziali, quali, ad esempio, prezzo, durata e quantità. E’ ammessa la regolarizzazione degli aspetti contrattuali anche mediante la sottoscrizione di un “contratto-quadro” cui fare seguire ordini di varia natura. Tali contratti devono avere una durata non inferiore a dodici mesi, salvo alcune deroghe motivate.
Vengono poi definite nel nuovo decreto delle pratiche commerciali certamente vietate, la cosiddetta “black list”, e delle pratiche vietate salvo apposito precedente accordo tra le parti, la “grey list”.
Tra le pratiche commerciali sicuramente vietate rientrano, inter alia, (i) la deroga ai termini di pagamento di trenta o sessanta giorni, a seconda della deperibilità o meno della merce; (ii) l’annullamento di ordini di merce deperibile con un preavviso inferiore a trenta giorni; (iii) la modifica unilaterale, da parte dell’acquirente o del fornitore, delle condizioni di un contratto di cessione di prodotti agricoli e alimentari.
Sono vietate, salvo appositi accordi, ulteriori pratiche quali (i) la restituzione di prodotti rimasti invenduti e (ii) la richiesta dell’acquirente di un pagamento come condizione per l’immagazzinamento o la messa in commercio di prodotti del fornitore.
La normativa individua nell’Ispettorato per la Repressione Frodi del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali (ICQRF), l’autorità di contrasto deputata all’accertamento delle violazioni e, difatti, il Ministero ha già predisposto e reso disponibile sul proprio sito internet l’apposita modulistica per inoltrare le denunce di supposte violazioni.
In conclusione dell’analisi della normativa italiana, appare doveroso riportare che le sanzioni amministrative pecuniarie appaiono, astrattamente, molto elevate: i massimi edittali sono pari a percentuali variabili del fatturato delle imprese coinvolte, fino anche al 5% del fatturato realizzato nell’ultimo esercizio precedente all’accertamento.
Come anticipato, esistono sostanziali differenze tra il d.lgs. n. 198/2021 con la Direttiva UE 2019/633, che sicuramente avranno rilevanza per le forniture “cross-border”, ma che potranno essere rilevanti anche nell’interpretazione della normativa italiana.
In primo luogo, il decreto nazionale si applica soltanto alle cessioni di prodotti eseguite da fornitori che siano stabiliti nel territorio nazionale, quindi non si applicheranno queste norme ai fornitori stranieri, mentre dovrà applicarsi a tali forniture la disciplina della direttiva.
In secondo luogo, per citare soltanto la principale differenza, la direttiva UE 2019/633 si applica unicamente quando l’acquirente della merce abbia un fatturato superiore al fornitore, escludendo dunque – e con buona ragione – l’opposta situazione in cui il fornitore abbia un fatturato più elevato dell’acquirente: è difficile che in un caso del genere ci sia un comportamento sleale dell’acquirente. Questa differenza tra la Direttiva e la normativa nazionale potrà essere un argomento interessante nelle valutazioni degli interpreti e, si auspica, anche dell’autorità di contrasto.