Whatever it takes proclamava nel 2012 l’ex presidente della BCE Mario Draghi all’apice della crisi dell’unione monetaria che rischiava di frantumare il sogno di un Europa finanziariamente forte ed economicamente stabile. Le misure successivamente adottate riuscirono a garantire agli Stati più indebitati, i quali l’Italia, il superamento della scalata dello spread e a preservare l’euro.

Le contingenze ora sono diverse ma le risposte, come evidenziato dallo stesso Draghi nell’articolo apparso sul Financial Times lo scorso 25 marzo, debbono essere altrettanto efficaci.

D’altro canto, le stime del Fondo Monetario per l’economia globale a seguito dell’epidemia per Covid-19 sono tragiche. I numeri della recessione appena iniziata, la peggiore dai tempi della Grande Depressione degli anni ’30 e maggiore anche della crisi del 2008, parlano di un calo del PIL, su base globale, del 3%.

Mentre per gli Stati Uniti si prevede una perdita pari al 5,9%, nel resto d’Europa i numeri sono ancora più sconfortanti: il Fondo prevede un calo del PIL del 6,5% per il Regno Unito, del 7,0% per la Germania e del 7,2 per la Francia. I fanalini di coda sono però rappresentati da Spagna, Italia e Grecia, la cui stima del calo è stimata, rispettivamente, nell’8%, 9,1% e 10%.

Parallelamente, in Italia nel 2020 il tasso di disoccupazione salirà al 12,7% a fronte di una media dell’Eurozona del 10,4. Per la Spagna si parla addirittura dell’aumento al 20,8% dei disoccupati per il 2020.

Con queste prospettive, la risposta dell’Europa deve essere poderosa e tempestiva.

Escludendo l’incertezza iniziale della neopresidente della BCE, Christine Lagarde (che aveva dichiarato: “Non siamo qui per ridurre gli spread, non è la funzione della Bce”, causando così la perdita maggiore di tutti i tempi della borsa italiana in un solo giorno, pari a 17 punti percentuali), sembra che da Bruxelles ci si stia muovendo verso la giusta direzione.

Per la prima volta è stata attivata la clausola generale di salvaguardia del patto di stabilità e crescita grazie alla quale gli Stati membri potranno discostarsi dagli obblighi di bilancio che normalmente si applicherebbero in forza del quadro di bilancio europeo. Si potrà dunque sforare il famoso rapporto del 3% tra deficit e PIL per finanziare le misure economiche e sociali necessarie a fronteggiare la pandemia.

Sono inoltre state approvate norme più flessibili in materia di aiuti di Stato tra cui, sovvenzioni dirette (o agevolazioni fiscali) fino a 800 000 euro per impresa, garanzie statali sotto forma di prestiti bancari, prestiti pubblici e privati con tassi di interesse sovvenzionati, uso delle capacità di prestito esistenti delle banche come canale di sostegno alle piccole e medie imprese ed una maggiore flessibilità per consentire l’assicurazione del credito all’esportazione a breve termine da parte dello Stato.

Sarà inoltre possibile ricorrere al Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), senza vincoli di austerità, ma potrà essere usato per spese sanitarie dirette e indirette. Istituito nel 2012, il MES è in grado di erogare aiuti per 700 miliardi di euro provenienti, per 80 miliardi, dal finanziamento dai singoli Stati membri proporzionalmente alla loro importanza economica (la Germania contribuisce per il 27,1 %, la Francia per il 20,3% e l’Italia per il 17,9%) e per i restanti 620 miliardi tramite la raccolta sui mercati finanziari attraverso l’emissione di bond.

È stato inoltre reso operativo il c.d. SURE (Support to mitigate Unemployment Risk in an Emergency) uno strumento da 100 miliardi a sostegno della cassa integrazione europea, per far sì che le aziende possano mantenere la loro forza lavoro.

Ma, non basta.

Si stima infatti che, insieme alle garanzie fornite dalla BEI (la Banca centrale degli investimenti) il totale delle misure sia pari a circa 500 miliardi di cui, all’Italia, soltanto 90. Decisamente pochi. Da qui la necessità invocata da Italia e dagli altri paesi più colpiti, di approvare gli Eurobond, attraverso l’emissione straordinaria di debito pubblico garantito da tutti i Paesi europei.

La presidente della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen, sostiene che ad oggi più di 3 mila miliardi di euro sono stati mobilitati per fronteggiare la crisi e ha annunciato un nuovo piano Marshall attraverso un potente bilancio pluriennale dell’Ue. Italia e Francia richiedono tuttavia che a questo si associ il Recovery Fund, un fondo finanziato dall’emissione di titoli comuni, posto che il bilancio si basa su contributi nazionali.

Già dalla prossima puntata, con la riunione dei capi di governo prevista per il 23 aprile, sapremo se la solidarietà richiamata dall’articolo 2 TUE costituisce ancora uno dei pilastri su cui si fonda il vecchio continente.