Attenzione franchisor! Lo spettro dell’abuso di dipendenza economica torna alla luce in una recente istruttoria dell’AGCM
Attenzione franchisor! Lo spettro dell’abuso di dipendenza economica torna alla luce in una recente istruttoria dell’AGCM
In data 24 novembre 2020 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha avviato un’istruttoria nei confronti di un importante marchio di abbigliamento per asserito abuso di dipendenza economica ex articolo 9, comma 3 bis, legge 18 giugno 1998, n. 192.
L’abuso riguarderebbe due contratti di affiliazione commerciale (franchising) stipulati con un rivenditore indipendente di prodotti del marchio.
La fattispecie.
L’”abuso di dipendenza economica” non deve confondersi con l’”abuso di posizione dominante” inserito nelle norme antitrust (art. 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea) per cui “È incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo.”
La legge 192/1998 posta a fondamento dell’azione dell’AGCM è invece intitolata “disciplina della subfornitura nelle attività produttive”.
La subfornitura è definita dalla stessa legge come quel “contratto con cui un imprenditore si impegna a effettuare per conto di una impresa committente lavorazioni su prodotti semilavorati o su materie prime forniti dalla committente medesima, o si impegna a fornire all’impresa prodotti o servizi destinati ad essere incorporati o comunque ad essere utilizzati nell’ambito dell’attività economica del committente o nella produzione di un bene complesso, in conformità a progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli o prototipi forniti dall’impresa committente.”
Tale legislazione, adottata negli anni novanta, mira a tutelare la parte debole di questo speciale rapporto, l’impresa fornitrice, per vigilare che mediante l’esternalizzazione di processi produttivi (outsourcing, pratica industriale che ha iniziato a svilupparsi a fine anni ottanta del secolo scorso), non si verifichi di fatto uno sfruttamento senza regole di soggetti pienamente inseriti nel processo produttivo del committente, e come tali relativamente indifesi.
È evidentemente una legge che intende disciplinare una fattispecie prettamente industriale. Nei suoi primi articoli infatti mira a imporre regole al rapporto e perciò detta la forma scritta, richiede termini di pagamento relativamente brevi, sancisce la nullità di clausole che permettono recessi senza preavviso.
Con l’articolo 9 essa vieta l’abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice, definendo la dipendenza economica come la situazione in cui una impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi.
La possibilità per la parte che abbia subìto l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti è valutato quale parametro per verificare l’abusività della condotta.
La legge specifica che: “l’abuso può anche consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto.”
Il patto attraverso il quale si realizzi l’abuso di dipendenza economica è definito nullo dalla legge.
Successivamente rispetto alla sua prima formulazione, è stata data la possibilità all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato di procedere a diffide e sanzioni rientranti nei suoi poteri per questi casi, posto naturalmente che la condotta abbia rilevanza per tutto il mercato.
L’AGCM può attivarsi sia autonomamente sia su segnalazione di terzi.
L’estensione della legge subfornitura al contratto di franchising.
A prima vista il contratto di affiliazione commerciale appare lontano dalle fattispecie oggetto della legge. Nel franchising infatti non vi sono lavorazioni su prodotti semilavorati, né forniture di prodotti o servizi da utilizzarsi nell’ambito dell’attività del committente o produzione di beni complessi.
Tuttavia, la giurisprudenza in più di una decisione negli anni passati ha effettuato un’estensione analogica di questa disciplina al settore che interessa.
La Cassazione, nella sentenza a sezioni unite n. 24906 del 25 novembre 2011, ha confermato che l’abuso di dipendenza economica di cui all’art. 9 della legge citata configura una fattispecie di applicazione generale, che può prescindere dall’esistenza di uno specifico rapporto di subfornitura.
Ciò in primis perché l’articolo 9 fa riferimento – unico articolo in tutta la legge – alle imprese non solo “fornitrici” ma anche “clienti” e da ciò si inferirebbe una volontà del legislatore di applicare questo articolo anche al di fuori della subfornitura.
Inoltre la norma si inserirebbe nel più ampio alveo dell’abuso del diritto, che è divenuto oggetto di considerazione da parte dei tribunali negli anni recenti: “l’abuso di un diritto, inteso come esercizio dello stesso senza rispettare la buona fede e la correttezza, generando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, espone l’abusante all’inefficacia dell’atto ed al risarcimento del danno.”
Fra le corti di merito si veda il Tribunale di Bolzano con decisione n. 370 del 11 aprile 2019, ove ha chiarito che: “Il divieto, seppur elaborato in materia di subfornitura, è applicabile ad ogni rapporto commerciale che presenti condizioni ingiustificatamente gravose cui è sottoposta un’impresa (cliente o fornitrice) che si trova in uno stato di dipendenza economica rispetto ad un’altra, la quale abusi di tale situazione, imponendo condizioni eccessivamente squilibrate a proprio vantaggio.”
Tuttavia, non tutti i tribunali hanno deciso in questo senso. Nello stesso anno 2019 si veda per esempio il Tribunale di Catania (decisione del 30 aprile 2019), che ha recisamente negato tale estensione al franchising. Poco prima, il Tribunale di Milano con la decisione del 3 luglio 2017 ha chiarito che la norma deve rimanere circoscritta all’oggetto della legge.
Il caso
Tutto ciò che è noto del caso di specie si inferisce dal comunicato stampa pubblicato sul sito dell’AGCM (alla pagina https://www.agcm.it/media/comunicati-stampa/2020/11/A543) unitamente al provvedimento con cui si dà impulso all’istruttoria, pubblicato al medesimo link. Si deducono alcuni dettagli del procedimento e delle accuse mosse al franchisor.
“Sul piano della dipendenza economica, il franchisor avrebbe imposto al rivenditore di mantenere una struttura di vendita e un’organizzazione commerciale disegnata sulle sue esigenze, in considerazione del fatto che si garantisce contrattualmente la possibilità di fissare regole e parametri organizzativi idonei a irrigidire la struttura aziendale del franchisee, fino a ostacolarne, se non impedirne, la sua eventuale riconversione.
In tale contesto, oggetto dell’istruttoria è il possibile uso discrezionale da parte del franchisor di alcune clausole contrattuali che le consentirebbero di incidere su scelte strategiche del rivenditore, quali la definizione delle proposte e/o degli ordini di acquisto, non solo in termini di tempistica, ma anche di quantitativi. In tal modo, il franchisor potrebbe avere condizionato in maniera significativa l’attività economica del franchisee, al quale sarebbe di fatto impedito di gestire in autonomia la propria attività commerciale.”
L’AGCM sinteticamente dettaglia i motivi per cui, almeno in astratto, la condotta del franchisor potrebbe avere un impatto sul mercato:
“Il Gruppo del franchisor detiene una posizione di sicuro rilievo nel mercato dell’abbigliamento, con un marchio che gode di una forte attrattiva commerciale, e dunque la vicenda è rilevante non solo sul piano del singolo rapporto contrattuale, ma anche per la tutela della concorrenza e del mercato.
L’utilizzo del modello contrattuale in esame da parte di un soggetto che gestisce una significativa rete commerciale in franchising potrebbe avere un impatto significativo su tutti gli imprenditori che costituiscono la rete in questione, a danno del gioco concorrenziale nel mercato.”
Ecco alcuni indici considerati dall’AGCM per l’avvio di questa istruttoria:
- obbligo di avvalersi dei professionisti del franchisor per la progettazione del punto vendita;
- obbligo di consegna di garanzia bancaria e polizza assicurativa;
- controllo del franchisor degli ordini di acquisto (inclusi riordini);
- tempistiche di consegna merce modificabili;
- clausole risolutive espresse per rifiuto di partecipare alle campagne pubblicitarie di marketing o violazione del divieto di promuoverne;
- limitazioni al diritto di far valere la garanzia per difettosità;
- divieto di change of control o change of management;
- divieto di cessione del contratto;
- divieto di cessione del punto vendita;
- esclusione di indennità e rimborsi nel caso di risoluzione contrattuale;
- prerogative concesse al franchisor sulla merce invenduta e sugli arredamenti alla cessazione del contratto.
Conclusioni
Non si può esimersi dal notare che molte delle clausole messe sotto scrutinio sono abitualmente utilizzate nel contesto di contratti di affiliazione commerciale. Chiaramente non è stato possibile prenderne visione e apprezzare il portato letterale delle stesse.
Tuttavia, questa istruttoria mette in luce ancora una volta l’estensione della disciplina della subfornitura al contratto di affiliazione commerciale, un accostamento molto delicato atteso che il franchising è, per sua stessa definizione, un contratto con cui l’impresa affiliante impone limiti e regole al proprio affiliato, a cui permette in cambio di utilizzare la propria insegna per la rivendita di prodotti a proprio marchio. È ben vero che il franchisee diventa parte del sistema distributivo del franchisor, ma è altrettanto vero che egli si giova di un avviamento ed una notorietà che appartengono in toto all’impresa affiliante.
Il sindacato di un giudice o dell’autorità in quest’area deve sempre essere effettuato con estrema misura. Naturalmente senza pregiudizio per il rigoroso scrutinio ed eventualmente la censura di clausole che appaiano manifestamente abusive, anche in relazione al contesto specifico in cui si inseriscono.