Il commercio online tramite piattaforme: opportunità e rischi per i venditori
Le misure adottate in tutto il mondo per contenere la pandemia da Coronavirus, a causa delle restrizioni alla circolazione delle persone ed all’esercizio delle attività commerciali, hanno avuto come conseguenza un enorme sviluppo del commercio online, che nell’anno 2020 ha visto una crescita esponenziale.
Durante i periodi di lockdown, leggero o pesante che sia, il commercio online rappresenta effettivamente una grande opportunità per le aziende per proseguire la propria attività, ma anche per raggiungere consumatori in nuovi mercati.
Le aziende che intendono commercializzare i propri prodotti online possono trovare preferibile, in alternativa o in aggiunta alla gestione delle vendite da un proprio sito, utilizzare le piattaforme di vendita online (i cosiddetti marketplace, generalisti come Amazon o Ebay, oppure specializzati, come molti altri che operano in settori quali il turismo, la ristorazione, la moda, il design, la tecnologia, il bricolage). Le piattaforme offrono servizi di vario genere per facilitare l’incontro tra i consumatori e i seller ma, pur rappresentando vetrine formidabili, possono rivelarsi insidiose per gli operatori commerciali, che talvolta sono obbligati a confrontarsi con regole che non conoscono esattamente o a sottostare alle decisioni arbitrarie dei gestori.
Anche chi offre prodotti o servizi esclusivamente tramite un proprio sito deve poi fare i conti ogni giorno con i motori di ricerca, che raccolgono ed indirizzano le ricerche dei consumatori e possono essere determinanti per il successo di un’azienda o di un prodotto.
L’Unione Europea, che vede con grande favore il commercio online, ha adottato regole specifiche per le piattaforme online e per i motori di ricerca, allo scopo di garantire la trasparenza e la fiducia sia nei rapporti tra imprese che nei confronti dei consumatori.
Il 12 luglio 2020 è entrato in vigore il Regolamento (UE) 2019/1150 del 20 giugno 2019, definito in breve “P2B” (Platform to Business).
Si tratta appunto di un Regolamento, che contiene norme vincolanti di diretta applicazione in tutti gli Stati membri, senza necessità di norme statali di attuazione.
A chi si rivolge il Regolamento P2B?
Il Regolamento P2B si applica in primo luogo ai fornitori di servizi di intermediazione online, vale a dire ai soggetti che, attraverso un accordo contrattuale con i fornitori, offrono servizi per facilitare le transazioni dirette tra fornitori di beni o servizi e consumatori: in primo luogo quindi le piattaforme o marketplace, ma anche gli store di applicazioni e i servizi online dei social media. Sono invece escluse le piattaforme peer to peer, dove gli scambi avvengono solo tra consumatori, le piattaforme per acquisti B2B così come i servizi di pagamento online e i servizi di pubblicità online.
Il Regolamento si applica anche ai gestori di motori di ricerca online, che forniscono all’utente i risultati di ricerche sui siti web, ivi compresi i siti web aziendali che offrono prodotti o servizi ai consumatori.
Dal punto di vista territoriale, le nuove norme si applicano anche ai marketplace ed ai motori di ricerca stabiliti al di fuori dell’Unione Europea, a condizione che siano soddisfatte entrambe le seguenti condizioni:
- I fornitori di beni o servizi siano stabiliti nell’Unione Europea
- I beni o servizi siano offerti ai consumatori situati nell’Unione Europea.
Le condizioni generali di contratto delle piattaforme
Le norme vincolanti del Regolamento riguardano innanzitutto i cosiddetti Terms & Conditions, vale a dire le condizioni generali di contratto delle piattaforme, che essendo in gran parte predeterminate e non negoziabili possono contenere clausole particolarmente penalizzanti per i seller.
Le condizioni generali devono essere redatte, a pena di nullità, in un linguaggio semplice e comprensibile, devono essere facilmente reperibili anche in fase precontrattuale e devono illustrare in quali casi la piattaforma può sospendere, cessare o limitare i servizi a favore dei seller. Le eventuali modifiche devono essere comunicate con un preavviso di almeno 15 giorni, consentendo il diritto di recesso prima di detto termine, e non sono ammesse modifiche retroattive, se non a vantaggio degli utenti.
Ancora, le condizioni generali devono precisare se la piattaforma fornisce prodotti o servizi accessori (ad esempio assicurazioni, garanzie, finanziamenti o simili) e se il seller può a sua volta offrire prodotti o servizi accessori.
Inoltre, le piattaforme devono garantire che l’identità del venditore sia chiaramente visibile.
Il ranking
Il Regolamento P2B affronta poi due questioni cruciali e molto delicate, che investono sia le piattaforme che i motori di ricerca: il posizionamento (o ranking) ed il trattamento differenziato.
E’ noto che i consumatori che ricercano un prodotto online spesso si fermano ai primi risultati della ricerca, o al massimo alla prima schermata, per cui il ranking di un prodotto o di un sito è determinante per il successo commerciale dei beni o servizi offerti in vendita.
In base alle nuove norme, le piattaforme sono obbligate a precisare nelle proprie condizioni generali di contratto quali sono i parametri che determinano il posizionamento di un determinato prodotto, ed i motivi che sono alla base delle loro scelte. Parimenti, i motori di ricerca devono fornire una descrizione dei criteri di posizionamento, che sia facilmente accessibile e redatta in un linguaggio comprensibile. Deve essere precisato inoltre se è prevista la possibilità di influire sul posizionamento a fronte di un corrispettivo, diretto o indiretto (ad esempio con la sottoscrizione di servizi accessori).
L’obbligo di trasparenza non si spinge tuttavia fino alla necessità di rivelare algoritmi, o altre informazioni che potrebbero avere come effetto consentire ai seller di manipolare i risultati di ricerca traendo in inganno i consumatori.
Il trattamento differenziato
Un’altra questione assai controversa nelle vendite online è il trattamento differenziato che le piattaforme o i motori di ricerca possono applicare qualora presentino, insieme ai prodotti di terzi, anche prodotti o servizi propri o di fornitori collegati: il caso più noto è quello di Amazon, che offre sul proprio sito sia prodotti venduti dalla stessa Amazon che prodotti di terzi fornitori, i quali posso anche avvalersi dei servizi di logistica di Amazon (come accade per i prodotti “venduto da X e spedito da Amazon”).
Il trattamento differenziato può consistere naturalmente in un diverso posizionamento, ma anche nell’accesso ai dati forniti dagli altri seller o dai consumatori, oppure nel diverso corrispettivo addebitato per i servizi del marketplace o per l’utilizzo di strumenti tecnici complementari.
Anche in questo caso, la soluzione adottata dal Regolamento è la trasparenza: le piattaforme devono precisare nelle proprie condizioni generali di contratto qualunque trattamento differenziato che riservino ai propri prodotti e le considerazioni di ordine economico, commerciale o giuridico che le giustificano. Anche i motori di ricerca devono descrivere gli eventuali trattamenti differenziati applicati.
Il trattamento differenziato può sfociare in una vera e propria violazione delle norme antitrust: è recentissima proprio a tale proposito la notizia che la Commissione Europea, nell’ambito di un’indagine antitrust, ha trasmesso ad Amazon una Comunicazione di addebiti (Statement of objections) per l’utilizzo, a favore dei propri prodotti, dei dati non pubblici (numero di visite, di ordini e di spedizioni, ricavo complessivo, reclami dei consumatori, ecc.) dei venditori indipendenti che utilizzano il marketplace (Comunicato stampa della Commissione del 10 novembre 2020).
La sospensione dei servizi in casi particolari
Accade nella prassi che le piattaforme decidano di sospendere, di oscurare, o di retrocedere alcuni prodotti o addirittura tutti i prodotti di un certo venditore, a volte senza nemmeno informarlo. Ciò può avvenire per molteplici ragioni, quali trasgressioni da parte dei seller delle regole della piattaforma, ma anche richieste di terzi titolari di marchi o brevetti, che ne lamentino la violazione.
Il Regolamento P2B prevede ora che tutte queste decisioni debbano essere comunicate preventivamente al venditore, che ne vengano illustrate le motivazioni e che il venditore abbia la possibilità di presentare un reclamo, illustrando le proprie ragioni, potendo ottenere in caso di accoglimento del reclamo la revoca delle misure.
Anche questo aspetto è di particolare attualità, poiché la Corte di Giustizia Europea ha recentemente stabilito che il fornitore di servizi di marketplace che conservi in magazzino per conto di un terzo prodotti contraffatti non risponde della violazione del marchio: nello specifico, il caso riguardava ancora una volta Amazon, che aveva stoccato per conto di un seller profumi con il marchio “Davidoff” contraffatto, offerti in vendita sul marketplace (sentenza del 2 aprile 2020, Coty Germany/Amazon, C-567/18). In caso di azioni del titolare del marchio la responsabilità ricade quindi unicamente sul venditore.
La gestione dei reclami
Infine, una interessante novità riguarda il sistema di gestione dei reclami. Le piattaforme, tranne quelle più piccole, sono infatti obbligate a prevedere innanzitutto un sistema interno di gestione dei reclami facilmente accessibile e gratuito, di cui devono informare gli utenti. Ma devono altresì indicare nelle condizioni generali almeno due mediatori indipendenti, a cui gli utenti possono rivolgersi per la soluzione delle controversie non definite mediante il sistema di gestione dei reclami.
Conclusioni
Il Regolamento P2B dovrebbe effettivamente introdurre una maggiore trasparenza nei rapporti tra le piattaforme ed i fornitori di beni e servizi che le utilizzano, riducendo i casi di decisioni arbitrarie: è tuttavia necessario che gli operatori economici verifichino con attenzione la conformità al Regolamento delle condizioni generali di contratto delle piattaforme che utilizzano ed il rispetto delle stesse nel corso del rapporto.